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Confessioni di un’influencer pentita

Confessioni di un’influencer pentita” di Federica Micoli (Fabbri Editore) è destinato a creare un dibattito sulla figura professionale di cui si dibatte di più in questi anni.

I retroscena unposted, per citare colei che ha – di fatto – inventato questo lavoro, raccontati dalla – oggi – consulente di marketing obbligano, necessariamente, a una riflessione.

Confessioni di un’influencer pentita: di cosa parla

Procediamo con ordine. Prima di capire perché chi gravita attorno all’influencer marketing dovrebbe leggere il volume proviamo a mettere a fuoco i diversi layout narrativi in cui si sviluppa la confessione che nella sua semplicità racconta una realtà complessa.

Partiamo con un paragone. In “Confessioni di un’influencer pentita” si racconta la storia di una donna intrappolata da dinamiche che ricordano quelle messe su carta da Michelle Hunziker ne “Una vita apparentemente perfetta” (Mondadori), in cui la famosa showgirl ripercorre il suo periodo vissuto con una setta a causa delle quale si separò da Eros Ramazzotti.

Se un progetto professionale, come nel caso di Macoli, o di vita, come nel caso di  Hunziker, presenta dinamiche non lineari, tossiche come si usa sostenere oggi, che non fanno effettivamente crescere una persona c’è un problema.

Confessioni di un’influencer pentita: i personaggi

L’altro aspetto interessante del libro sono i comprimari della storia, le figure che gravitano attorno alla nostra protagonista. Senza entrare, per non rovinare la lettura, troppo nel dettaglio è interessante analizzare con chi la protagonista del nostro racconto decide di diventare un’influencer.

I criteri che guidano la creazione di queste relazioni evidenziano, una volta di più un problema generale che si riscontra anche quando si analizzano i libri di varia usciti negli ultimi anni.

Negli anni, grazie alla selfie-culture, siamo diventati (con tutti i se e i ma del  caso) bravi a raccontarci, a verbalizzare emozioni, ad essere (sopratutto per i social) la versione migliore di noi. Su cosa, in generale, abbiamo lavorato poco? Sulle relazioni.

Nell’era dell’IO il NOI, fondamentale in più ambiti (da quello professionale a quello personale), zoppica. Fatta eccezione per i tomi scritti da professori universitari l’industria editoriale, seguendo la narrazione social, non sta ponendo l’accento sul team, che per il successo di un progetto è fondamentale.

Piccolo spoiler. La nostra protagonista diventa un’influencer pentita perché in assoluta buona fede si circonda da persone discutibili.

Confessioni di un’influencer pentita: cosa succede quando il prodotto è l’influencer

Il terzo e ultimo aspetto su cui riflettere riguarda la merce messa in vendita che apparentemente è il prodotto dell’azienda che affida all’influencer.

Altro spoiler. L’ADV, in più occasioni, è un apostrofo pagato tra le parole vita mia. Quando il prodotto sei tu il follower vuole comprare te con tutte le spiacevoli conseguenze che ne conseguono. Nel libro si racconta, nello specifico, un bruttissimo episodio di stalking.

Sembrerebbe, anche da questo articolo, che l’influencer sia una professione sconsigliabile.

In realtà non è così. Per questo motivo ne scriviamo proprio su un sito dedicato all’influencer marketing. Il racconto di Micoli è il vademecum migliore per cui decide di intraprendere questa professione che se fatta con tutte le accortezze del caso è rispettabilissima come le altre.

Tutto dipende dallo sguardo di chi si approccia al lavoro. Fino a quando al libero professionista è chiaro che il social è uno strumento e non lo scopo, fare l’influencer è un bel lavoro che garantisce una crescita economica e personale. 

Se il social, la spunta blu (per citare la Micoli), diventi tu allora sì che scattano tutti problemi raccontati in “Confessione di un’influencer pentita”. 

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