Capita con sempre maggiore frequenza che i content creator propongano dei contenuti che vengono ripetuti nel tempo e che essi stessi definiscono “format”. Di pari passo, sono altrettanto diffusi episodi in cui i creators lamentano il fatto che colleghi o terze persone abbiano creato contenuti basandosi, più o meno fedelmente, sul “loro format”.
È quindi lecito chiedersi se questa tipologia di contenuti possa essere effettivamente definita come format e se esistano delle forme di tutela per gli influencer che li hanno ideati.
Definizione ed inquadramento del format
La definizione più frequentemente riportata sul tema è quella fornita dalla SIAE in un bollettino risalente al 1994 e che identifica il format come quell’ “opera dell’ingegno avente struttura originale esplicativa di uno spettacolo e compiuta nell’articolazione delle sue fasi sequenziali e tematiche, idonea ad essere rappresentata in un’azione radiotelevisiva o teatrale, immediatamente o attraverso interventi di adattamento o di elaborazione o di trasposizione, anche in vista della creazione di multipli. Ai fini della tutela, l’opera deve comunque presentare i seguenti elementi qualificanti: titolo, struttura narrativa di base, apparato scenico e personaggi fissi”.
Come si può notare, la definizione data dalla SIAE si focalizza sull’ambito radiotelevisivo e teatrale ma gli elementi caratteristici del format possono ben estendersi anche ad altri contenuti, disponibili ad esempio sui social media.
Anche la Corte di Cassazione (Sezione I – sentenza 18633.2017) ha fornito degli elementi in presenza dei quali una determinata opera (in quel caso televisiva) può essere definita come format. In particolare, essa deve:
- avere uno schema di programma
- presentare un canovaccio delineato nei suoi tratti essenziali
- essere destinata ad una produzione seriale.
Come tutelare un format
A parere di chi scrive allo stato attuale esiste una disparità di trattamento tra i format radiovisivi e teatrali e quelli web/social, visto che solamente per i primi è possibile il loro deposito presso SIAE, attualmente non previsto per i secondi.
Il deposito, infatti, attribuisce, fino a prova contraria, la paternità e la priorità dell’opera in capo al suo creatore (o a colui che ne detiene i diritti). A questo punto si potrebbe obiettare che esistono metodi alternativi per provare gli elementi sopra descritti ma è evidente che in una qualsiasi controversia giudiziale e/o stragiudiziale ogni elemento può essere utile al fine di risolverla. A parere di chi scrive, quindi, l’impossibilità di procedere con la registrazione di un format social è un impedimento che andrebbe eliminato, soprattutto alla luce del fatto che i suoi tratti caratteristici sono sostanzialmente sovrapponibili ad uno televisivo.
Resta comunque inteso che anche qualora i contenuti non siano qualificabili come format, il creator ha sempre la facoltà di agire per tutelare i propri diritti connessi a quell’opera ma in una visione professionale dell’attività di influencer, non si può che auspicare la possibilità di fornire maggiori tutele anche per poter agevolare eventuali collaborazioni commerciali o professionali, come accade nel mondo televisivo in cui siamo ormai abituati a vedere trasmissioni che si basano su format.