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5 campagne di influencer marketing andate male (non solo Shein)

Negli ultimi anni le campagne di marketing basate sull’ingaggio di influencer sono state adottate da moltissimi brand sia in Italia che in tutto il mondo. Ma non sempre raggiungono l’obiettivo che le aziende si aspettano, l’ultimo caso eclatante di campagna di influencer marketing andata male è quello del brand Shein.

Questi fail sono dovuti la maggior parte delle volte dal divario tra le value proposition del brand e dell’influencer scelto. Ecco a voi alcuni esempi di campagne di influencer marketing andate male.

Douglas e Veronica Ferraro

Ultimamente l’azienda di beauty Douglas ha creato una sua linea di integratori a base di collagene. La campagna di lancio è stata legata al concetto di #innerbeauty (bellezza interiore). E chiede in modo esplicito agli utenti di condividere le loro opinioni a riguardo. Sicuramente uno degli obiettivi di tutta l’azione era quello di creare engagement.

Una delle testimonial scelte è stata Veronica Ferraro (fashion, beauty e fitness influencer) con un ampio seguito, che ha collaborato in passato con moltissimi brand importanti. In un video pubblicato sul profilo Instagram del colosso del beauty alla Ferraro viene chiesto di esprimere la sua idea di bellezza interiore. La reazione degli utenti è stata piuttosto polemica. Tanto da obbligare Douglas a chiudere la sezione commenti, cancellare quelli arrivati e cambiare il testo del post.

Tutti si sono chiesti a cosa sia stato dovuto questo piccolo flop, ma la risposta non è difficile: influencer sbagliata. La conferma di ciò si è avuta pochi giorni dopo con la pubblicazione di uno stesso tipo di contenuto con una testimonial diversa, che non ha avuto alcun tipo di problema.

La Ferraro, vista dal brand come testimonial perfetta per un target femminile over 30 interessato al mondo beauty e skincare, non è stata la scelta corretta perché poco in linea con la visione proposta da Douglas di bellezza naturale e senza filtri. Questa “svista” di marketing ha avuto un effetto negativo e inaspettato sullo svolgimento della campagna.

Veronica Ferraro (Alberto Scarpinato / ipa-agency.net)

Pepsi e Kendall Jenner

La collaborazione tra Pepsi e la supermodella statunitense, Kendall Jenner, nel 2017 si rivelò un vero e proprio disastro. Nello spot pubblicitario in questione viene messa in scena una protesta del movimento “Black Lives Matter” a supporto della campagna globale di Pepsi sulla diversità. Ad un certo punto del video la modella Kendall Jenner abbandona il suo servizio fotografico per partecipare alla protesta e offre ai poliziotti, che nel frattempo stanno cercando di controllare la folla, una lattina di Pepsi riportando così un clima di pace e serenità. La campagna venne ripresa in un tweet molto ironico da parte della figlia di Martin Luther King Jr con annessa la frase :“se solo Papà avesse saputo che sarebbe bastata una lattina di Pepsi”.

Lo spot venne immediatamente rimosso da Pepsi che dovette anche scusarsi pubblicamente per il suo contenuto. Questo esempio ben evidenzia quanto sia importante scegliere la giusta figura di influencer per la propria campagna per evitare di incappare in fallimenti davvero imbarazzanti.

Kim Kardashian e Duchesnay

I brand e gli influencer devono agire in maniera responsabile quando promuovono un prodotto. In particolare se il prodotto in questione è un medicinale o un farmaco che può causare effetti collaterali nei consumatori. Una delle influencer più pagate al mondo, Kim Kardashian, ha trascurato proprio queste regole durante la sua collaborazione con Duchesnay.

Ha pubblicato infatti su Instagram un selfie promuovendo un farmaco di questa azienda per la nausea mattutina. Senza però far alcun riferimento ai rischi connessi al prodotto, ma esaltandone esclusivamente i benefici. Il post ha attirato così l’attenzione dell’agenzia per gli alimenti e i medicinali statunitense (FDA) che ha promesso pesanti sanzioni per l’azienda se il post non fosse stato immediatamente corretto o rimosso.

Infine, la Kardashian fu obbligata a rimuovere il post che però ormai aveva già fatto molti danni. Questa campagna di Influencer Marketing attirò infatti moltissima pubblicità negativa che finì per danneggiare sia l’influencer che il brand in questione.

Kim Kardashian, Domenico Dolce: Tomas Herold / BACKGRID USA, ARVI / ipa-agency.net)

L’insuccesso di Fyre Festival

Quello che è stato, forse, fin ad ora uno dei più grandi casi di insuccesso dell’influencer marketing (al limite di una frode, come raccontano Business Insider e Vice) del resto vede protagonisti proprio i grandi numeri delle star di Instagram. Nel dicembre 2016 sui social si comincia a parlare del Fyre Festival. Un esclusivissimo festival musicale ideato dal rapper Ja Rule e che si terrà l’aprile successivo su un altrettanto esclusivo arcipelago delle Bahamas.

I primissimi annunci vengono fatti con dei semplici quadrati monocromi arancioni che agli occhi di tutti appaiono come dei teaser di quello che sarà il programma vero e proprio del festival. Solo più tardi, insieme alla presentazione dei primi ospiti che calcheranno il palco del Fyre, comincia un bombardamento. Informazioni, curiosità, meravigliose foto dal set da parte di influencer molto conosciuti in rete, modelle di Victoria’s Secret e altre star che annunciano la loro partecipazione al festival. Il risultato è stato il sold out dei biglietti, nonostante il prezzo tutt’altro che modico (dai 2 ai 12mila dollari).

Sembrerebbe un ottimo esempio di come funziona l’influencer marketing, unito a quell’eterno fascino che esercitano tutte le esperienze esclusive, per pochi, in grado di far sentire i partecipanti parte di una cerchia ristretta e di fortunati.

Com’è andata a finire

Peccato che, invece, il festival sia stato un vero flop e che a qualche anno di distanza ci siano addirittura dei procedimenti penali ancora in corso. Chi aveva comprato i biglietti per il Fyre Festival, infatti, arrivato sull’arcipelago, non aveva trovato ad aspettarlo niente di quanto immaginava.

Nessun resort esclusivo e niente cibo stellato. Solo qualche capannone in plastica e pasti di fortuna offerti tra l’altro da un ristorante che non è mai stato pagato dall’organizzazione. Gli ospiti musicali nel frattempo avevano disdetto la loro partecipazione e il governo aveva dovuto approntare un piano di evacuazione e bandire gli organizzatori dal territorio nazionale. 

Il Fyre Festival, però, per chi vuole evitare l’insuccesso dell’influencer marketing, è l’esempio forse più esplicito della potenza, in termini di esposizione e reach del messaggio, a tratti ingovernabile, che può avere una campagna che coinvolga degli influencer. E, allo stesso tempo, dei danni che può fare proprio per questo una strategia cieca e poco oculata.

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